La scuola italiana come “La Signora del Vento”: nave gloriosa da recuperare

In questi giorni si è parlato molto di scuola. Di quella futura che attende i nostri figli a settembre, di quella appena trascorsa che ha vissuto una tempesta improvvisa.

La scuola italiana oggi appare un po’ come “La signora del vento”: nave gloriosa colpita dal maltempo e dall’incuria. Se non conoscete la sua storia e avere due minuti vorrei raccontarvela perché è emblematica.

La “signora del vento” è il veliero più grande d’Italia, dopo l’Amerigo Vespucci, una nave laboratorio unica in Europa che per due anni è stato il vanto di molti istituti tecnici come il Caboto di Gaeta.

Il veliero permetteva l’alternanza scuola-lavoro, una formazione di alto livello e attività di monitoraggio del mare.

Tutto questo fino a quando una violenta mareggiata non l’ha danneggiata seriamente nel novembre 2019.

Da allora l’Istituto Caboto è stato capofila, insieme ad altre scuole italiane, di un progetto di gestione di alto livello per riparare i danni e far riprendere le attività didattiche.

L’ex-ministro Fioramonti e adesso l’attuale titolare del Dicastero di viale Trastevere, Azzolina, hanno previsto un budget di spesa che però è insufficiente allo scopo.

Per far rinascere questo esperimento unico in Europa servono poche centinaia di migliaia di euro: i lavori di riparazione prevedono una spesa di quasi due milioni di euro e l’assicurazione copre poco più della metà.

🔷 Mi sono battuto a lungo, e a tutti i livelli, dal Ministero dell’Istruzione al Governo anche con la presentazione di un ordine del giorno che impegni l’Esecutivo a trovare i fondi nell’ambito del decreto sulla Scuola e far ripartire le attività formative e di ricerca.

Ora capite perché questa storia è emblematica?

Al momento la “signora del Vento” è diventata una “nave fantasma”. Come fantasma è diventato anche il dibattito sul nostro sistema formativo, motivo per cui nei giorni scorsi ho deciso di astenermi sul decreto-Scuola.

🔷 Il mio impegno per il veliero-scuola però non si ferma. Lo devo al mio territorio, alla mia gente, alla Caboto. Al sogno di un Paese che investe nel futuro dei propri figli.

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