Servizio mensa, preserviamo l’autonomia scolastica

Una inceppatura nel meccanismo di ammissione di uno studente al servizio mensa del Comune di Latina si trasforma, in modo piuttosto singolare, in una populistica richiesta di allargare la copertura economica del servizio mensa da parte dello Stato verso il 100% dei richiedenti. Premesso che il comune di Latina può graduare le tariffe del servizio come meglio crede – è questa una sua prerogativa – la sortita dell’assessore Proietti va ad eludere un principio – quello della capacità contributiva – sancito dalla costituzione, da alcune sentenze e da ultimo recepito nel regolamento del comune di Latina che specifica come “il metodo contributivo si basa sul sistema graduale e proporzionale delle fasce di reddito” determinate in base all’indicatore ISEE. Parimenti viene svilita l’autonomia scolastica, oggetto di tante faticose battaglie.

Il servizio di refezione scolastica è classificato tra quelli a domanda individuale dal DM 31 dicembre 1983, emanato in attuazione del dl 28 febbraio 1983 n. 55, come convertito dalla legge 26 aprile 1983 n. 131. Tra questi troviamo: case di riposo e di ricovero; asili nido; case vacanza e ostelli; colonie e soggiorni; impianti sportivi (piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili); mattatoi, mense comprese quelle scolastiche; mercati e fiere; teatri e musei; trasporti funebri e illuminazioni votive. Alcune sentenze (di seguito) hanno successivamente portato il legislatore a decidere, con Dlgs 63/2017 (art. 6) che i servizi mensa siano facoltativi, attivabili a richiesta, per le alunne e agli alunni delle scuole pubbliche dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado. Essi possono essere assicurati nei limiti dell’organico disponibile e senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati. L’articolo 2 dello stesso decreto ha, poi, definito la competenza dello Stato, le Regioni e gli enti locali per la programmazione degli interventi per il sostegno al diritto allo studio per fornire, su tutto il territorio nazionale, anche il servizio di mensa. Dal punto di vista giurisprudenziale costituisce un importante precedente la sentenza 21 giugno 2016 numero 1059 della Corte di Appello di Torino. Riconosce la refezione scolastica ‘servizio locale a domanda individuale’, non obbligatorio per l’ente locale ma facoltativo per l’utente. Il diritto allo studio non può essere condizionato dalla fruizione di un servizio a pagamento, come quello di mensa, e la scelta del “tempo pieno” non può essere subordinata all’adesione al servizio di refezione. Dunque, accanto alla possibilità per l’alunno di uscire accompagnato all’ora di pranzo e rientrare per la ripresa pomeridiana delle lezioni, alcuni giudici hanno affermato il diritto dell’alunno a “tempo pieno”, che non aderisce al servizio di refezione comunale, di consumare a scuola un pasto domestico È stato riconosciuto, quindi, il diritto al pasto domestico quale diritto soggettivo derivante dall’ordinamento costituzionale e scolastico, in particolare dall’articolo 34, comma 2, della Costituzione che tutela il diritto all’istruzione primaria, e dalla normativa scolastica. L’attuazione di esso determina l’adozione di misure organizzative, in relazione alla specifica situazione logistica dei singoli istituti scolastici. E’ importante sottolineare che la sentenza riconosce e sottolinea il presupposto che il “tempo mensa” sia un momento educativo unico ed identico, ma che non può implicare l’adesione obbligatoria ad un servizio a pagamento, pertanto anche chi consuma il pasto da casa lo fa utilizzando lo stesso tempo mensa di chi usufruisce del servizio: pertanto, l’adesione o meno al servizio non inficia il riconoscimento del valore educativo del tempo mensa. La sentenza definitiva è quella del Consiglio di Stato 5156/2018, che conferma quella del Tar Napoli 1566/2018, con cui venivano bocciato le delibere del Comune di Benevento, che hanno stabilito il divieto di consumare cibi diversi da quelli forniti dall’impresa appaltatrice del servizio, limitando la sfera giuridica dei ricorrenti, sia quali legali rappresentanti degli alunni, sia nella qualità di genitori. La scelta alimentare è, infatti, una facoltà dell’individuo, espressione della libertà personale, e se minore, della famiglia mediante i genitori. Salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di sicurezza o decoro, essa è libera e si esplica all’interno ed all’esterno delle mura domestiche, in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici. Giova anche ricordare che l’articolazione dell’orario scolastico, compreso il tempo mensa, è materia di autonomia scolastica, mentre è materia di autonomia degli enti locali la definizione dell’aspetto economico (naturalmente, nell’ambito del quadro normativo): pertanto, la natura di servizio a domanda individuale, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, come dalle competenze in materia di autonomia scolastica, impediscono di considerare tale servizio come essenziale e gratuito, pur continuando a riconoscere allo stesso il valore educativo e formativo che lo rende parte integrante dell’orario scolastico, e di pensare di procedere ad una riforma legislativa in tal senso: come tanti altri servizi (in primis, la sanità), rimane il principio della proporzionalità del contributo da parte dell’utente.

Ovviamente tutti desidereremmo che in settori sensibili quali la sanità, l’istruzione e l’ambiente lo Stato coprisse tutti i servizi erogati, eliminando così quelli a domanda individuale.

Proprio in questa logica il governo giallo rosso sta facendo un grandissimo passo in avanti prevedendo di eliminare in manovra il super ticket e fissando un tetto per le detrazioni fiscali su spese sanitarie in base al reddito.

Quella di Proietti è una visione utopistica rispetto al complesso delle risorse a disposizione, oltre che contrastante, come detto, con fonti legislative e giurisprudenziali rilevanti. E perciò, come conferma la tempistica, estemporanea e demagogica.

Non dimentichiamoci che un servizio non pagato dal singolo ricade sull’intera collettività, e quindi proprio sui meno abbienti. Secondo l’adagio, caro alla vecchia politica: “A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche ciò che ha”.

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